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5 perle di saggezza da
“I 4 pilastri dell’investimento” di Bernstein

di Lorenzo Brigatti

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Ci sono pochi individui capaci di guardare con occhio distaccato e critico al mondo degli investimenti e allo stesso tempo offrire delle considerazioni utili per i risparmiatori privati. William Bernstein è uno dei pochi. I suoi libri sono da considerarsi delle pietre miliari dell’investimento e della teoria finanziaria. Per questo motivo l’articolo di oggi è dedicato al suo libro più celebre, “I 4 pilastri dell’investimento”, e alle 5 lezioni che possiamo apprendere da esso.

P.S. Se alla fine di questo articolo desideri conoscere altri importanti insegnamenti di William Bernstein , ti consiglio di ascoltare gli episodi 7 & 8 del podcast “I principi dell’Investimento”, con Luca Lixi, fondatore e CEO di Lixi Invest, e Valerio Russo di Talent Bay. Qui sotto ti lascio il video integrale che raccoglie entrambi gli episodi del podcast.

I Princìpi dell’Investimento – La teoria finanziaria che serve davvero: William Bernstein

Chi è William Bernstein

Il nome William Bernstein è sconosciuto ai più, anche negli Stati Uniti.

Bernstein è un barbuto settantenne neurologo che 20 anni fa ha deciso di cambiare professione per dedicarsi allo studio della teoria finanziaria.

La sua pulsione innata nel condividere la sua conoscenza finanziaria lo ha spinto a scrivere molti libri, di cui I 4 pilastri dell’investimento è il più popolare.

Questo libro è una guida (molto orientata al mercato statunitense) che definisce le basi da possedere per investire con successo.

Vengono approfonditi principi teorici, la storia dei mercati, la psicologia degli investitori e le istituzioni con cui devi avere a che fare quando investi.

Questo libro unisce elementi più facili da capire a elementi piuttosto avanzati.

Per questa ragione non è un buon libro per cominciare il proprio percorso nel mondo degli investimenti (qui trovi un articolo dove ho selezionato i 10 migliori libri sull’investimento e la finanza personale

Ma se segui già da un po’ il nostro blog e il nostro gruppo Facebook Wikilix e vuoi capire meglio la parte più tecnica della costruzione di un portafoglio, allora è un’ottima scelta.

Al suo interno troverai anche alcuni portafogli già fatti, ma ho deciso di non parlarne in questo articolo perché sono troppo basati sulla realtà americana e quindi assolutamente inutili per un investitore europeo.

Ci sono comunque spunti più generali molto più interessanti che ho deciso di condensare in 5 lezioni di cui dovremmo fare tesoro.

Cominciamo.

1. Il portafoglio complessivo è quello che conta

La chiave di un buon piano di investimento è diversificare, cioè investire in prodotti finanziari diversi che si comportano in modo diverso a seconda della situazione.

Diversificare è un modo più carino per dire “quando uno sale, l’altro scende (o sale di meno)”.

E questo fa impazzire un sacco di investitori, che vogliono vedere tutti i loro investimenti sempre in guadagno.

Ma questo non è possibile, perché a seconda della fase del ciclo economico in cui ci troviamo ci saranno delle asset class che performeranno meglio e altre che faranno peggio

Ciò che funziona in una stagione economica, funziona meno bene in un’altra.

Quando hai un portafoglio ben diversificato, ti accorgerai che ogni anno ci saranno una o più asset class (e quindi uno o più prodotti finanziari) che avranno un rendimento negativo o prossimo allo 0%. 

Fa parte del gioco e se non ti trovi in una situazione simile, significa che non stai diversificando abbastanza

Per poter superare il dispiacere della momentanea perdita (che ovviamente non è definitiva finché non vendi lo strumento finanziario)  è fondamentale considerare il portafoglio nel suo complesso.

Non fossilizzarti sulle performance negative, ma guarda come si è comportato il portafoglio nella sua totalità. 

Come si comportano le singole parti non è un problema, l’importante è che il portafoglio funzioni correttamente e ti porti il rendimento che vuoi ottenere nel tempo che ti sei prefissato.

2. L’importanza del ribilanciamento

Il ribilanciamento è una sorta di manutenzione fatta sul proprio portafoglio, per assicurarsi di cambiare le parti più usurate con quelle più nuove.

Controintuitivamente e a differenza di un’auto, però, le parti da cambiare sono quelle che stanno andando “troppo bene”, cioè quei prodotti finanziari che sono saliti di prezzo.

Questi prodotti devono essere sostituiti con quelli che finora non hanno fatto benissimo per approfittare del ritorno alla media (mean reversion), la forza di gravità finanziaria.

Così facendo si riporta il portafoglio complessivo alla sua composizione originaria, ossia al peso percentuale che originariamente avevamo previsto per ogni singolo prodotto finanziario. 

Nel libro viene fornito un esempio pratico con 4 gruppi di azioni, ognuna al 25%.

diversificazione portafoglio

Nel 1998-1999 il mercato azionario globale stava correndo senza sosta, mentre l’immobiliare americano (rappresentato dai REIT) stagnava.

Dopo più di 730 giorni di performance negativa, quindi nel 2000, i REIT sono diventati invece gli eroi del giorno, salvando questo portafoglio ipotetico, mentre tutto il resto scendeva di valore.

Questo non è un esempio perfetto di diversificazione.

Perché tutti gli elementi che vedi sono parte del mercato azionario, quando invece, per diversificare davvero, serve investire anche in altre asset class; tuttavia, rende comunque bene l’idea.

Usando la tecnica di ribilanciamento su base annuale, avresti tratto ancora più vantaggio da queste oscillazioni, perché avresti comprato a poco prezzo i REIT nel 1998 e nel 1999, per poi capitalizzare al massimo nel 2000.

Sono stati fatti diversi studi su quanto può incidere sul rendimento l’attività di ribilanciamento e finora i risultati sono tra lo 0,5% e l’1%.

Una quantità che sembra piccola, ma se moltiplicata con l’interesse composto per 30 anni può fare un’enorme differenza.

In sintesi, il ribilanciamento ha 3 vantaggi:

  • ti può offrire un rendimento maggiore;

  • è un meccanismo per tenere il rischio sotto controllo, perché riporta periodicamente il tuo portafoglio alla sua asset allocation originaria, senza farti prendere più rischio di quello che hai deciso di assumerti;

  • ti abitua ad applicare con costanza una delle massime più famose del mondo degli investimenti: compra a prezzi bassi e vendi a prezzi alti.

Quest’ultimo beneficio non è da sottovalutare perché vendere a prezzi alti e comprare a prezzi bassi è un’operazione particolarmente difficile da fare in maniera autonoma, per via di un’istintiva preferenza nel comprare prodotti finanziari che stanno andando bene e creano l’illusione di poterlo fare all’infinito.

Pac

3. Una nuova versione del piano di accumulo: il Value Averaging

È praticamente impossibile spiegare a un  neo – investitore cosa significa investire in un mercato al ribasso.

Come affermato da Fred Schwed:  

“Ci sono cose che non possono essere spiegate a una persona vergine usando solo parole e immagini”

Un’ottima soluzione a questo problema è il piano di accumulo, ossia investire un po’ di soldi ogni mese.

In questo modo puoi esporti piano piano ai saliscendi del mercato azionario e imparare ad investire in modo automatico.

Il modo più facile per farlo è investire la stessa quantità ogni mese, ma Bernstein propone una versione alternativa: il Value Averaging.

Lo faccio spiegare direttamente a lui:

“Anzichè investire $100 al mese, ti crei un piano basato su obiettivi intermedi che aumentano dello stesso importo ogni mese. In altre parole, decidi di avere sul conto di investimenti $100 a gennaio, $200 a Febbraio e così via fino ad arrivare a $1200 a dicembre.

In questo caso, non stai semplicemente investendo $100 al mese. Se il valore del fondo scende, dovrai investire più di $100 al mese per arrivare a $200. Se il fondo sale, avrai bisogno di mettere meno soldi ed è possibile che in alcuni mesi tu non debba nemmeno aggiungere soldi”.

Questa versione ha il vantaggio di obbligare un investitore a comprare una quantità maggiore di un prodotto finanziario a un prezzo basso e meno a un prezzo alto (ottimo durante i mercati ribassisti), ma presenta una controindicazione pratica.

Rende più difficile la creazione di un automatismo negli investimenti, poiché richiede un minimo di calcoli che può scoraggiare i più pigri e i più occupati.

Per questa ragione, nonostante il Value Averaging sia una tecnica interessante, non la consiglio come una tecnica con cui cominciare a gestire il proprio piano di investimenti.

Molto meglio partire con un semplice piano d’accumulo tradizionale e poi aggiungere qualche modifica strada facendo, se proprio sarà necessario.

costi

4. Perché i fondi attivi faticano contro gli ETF: il costo d’impatto

Non abbiamo mai fatto mistero del fatto che gli ETF rappresentino la soluzione migliore per investire, sia in termini di trasparenza che di rendimenti.

Abbiamo spiegato con valanghe di grafici e numeri le ragioni per cui questo accade, ma Bernstein ne mette in risalto una nuova: il costo d’impatto.

Il costo d’impatto non è altro che il costo che i fondi devono sostenere quando entrano o escono da una società in cui hanno investito.

Cedo di nuovo la parola a Bernstein:

“Immagina di avere $25 milioni da investire in un’azione. Molto probabilmente non sarai in grado di completare il tuo acquisto senza alzare drasticamente il prezzo. Al prezzo di oggi, non ci sono azioni a sufficienza che permettano di farti comprare il numero di azioni che vuoi, e quindi devi comprare ad un prezzo più alto, riducendo il tuo rendimento. L’opposto accade quando vuoi vendere molte azioni nello stesso momento: fai abbassare il prezzo, riducendo ancora il tuo rendimento.”

Purtroppo questo tipo di costo non è misurabile, ma esiste ed è una delle ragioni principali per cui i fondi comuni fanno fatica ad avere performance vicine a quelle degli indici.

Gli ETF, invece, usano un sistema diverso, chiamato “creation and redemption” che è molto tecnico da spiegare ma che, riassunto all’osso, consente agli ETF di evitare completamente questo tipo di costi.

Per questo anche i fondi a gestione attiva con costi di gestione più bassi e gestiti dai manager più brillanti hanno uno svantaggio continuo, che cresce proporzionalmente al patrimonio che devono gestire.

Perchè più aumenta il patrimonio gestito più corrono il rischio di far oscillare il prezzo dello strumento finanziario che stanno cercando di comprare o vendere. 

disperazione

5. Anche i premi Nobel per l’economia piangono

Per gli scettici che nonostante tutto vorrebbero ancora affidare i loro soldi ad un gruppo di esperti e professionisti del settore, Bernstein, nella sezione storica del libro, ricorda uno degli esempi più catastrofici avvenuti sul mercato finanziario.

Long-Term Capital Management era una società di investimento che negli anni Novanta poteva contare su una squadra impressionante di premi Nobel per l’economia, tra cui Myron Scholes e Robert Merton.

Usando i modelli econometrici più avanzati, erano riusciti a costruire un “sistema sicuro” per fare soldi.

Una volta che ebbero verificato che il loro modello avrebbe potuto funzionare sempre in passato, l’hanno messo al lavoro, facendo ampiamente ricorso alla leva finanziaria (debito) per portare a casa rendimenti sempre più alti a zero rischio.

Il risultato?

Nel 1998, a causa di una concatenazione di eventi imprevedibili, i fantomatici modelli econometrici hanno toppato alla grande portando al loro fondo perdite enormi. 

Non solo, le dimensioni mastodontiche del fondo hanno rischiato di mandare a gambe all’aria tutto il sistema finanziario mondiale a causa del debito eccessivo che era stato utilizzato per questo tipo di operazioni.

Questo è l’esempio più classico di esperti della finanza che si fanno prendere da un eccesso di confidenza e poi fanno disastri, qui addirittura su scala globale.

Nel mondo degli investimenti eventi imprevedibili e fortuna hanno un ruolo più grande di quello che ci piace ammettere, e questo significa che molti degli esperti di investimenti (gestori attivi) sono solo “falsi positivi”.

Persone fortunate che hanno avuto il merito di trovarsi una volta al posto giusto, al momento giusto e nulla più.

Tu non hai certo intenzione di mettere i tuoi risparmi nelle mani della fortuna.

Per questo è importante costruire una strategia di investimento basata sui tuoi bisogni e indipendente dalle previsioni del futuro o da quello che prevedono sedicenti esperti finanziari.

Se non sai da dove cominciare per delineare la tua personale strategia di pianificazione finanziaria, il gruppo Facebook Wikilix – la community di finanza personale dedicata ai risparmiatori privati più importante d’Italia – è il posto giusto.

 

di Lorenzo Brigatti

Behavioral Finance Editor e Product Manager di Lixi Invest

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